“NULLA RES”
UN AFFASCINANTE PROGETTO AUTARCHICO
PICCOLA GUIDA A UNA ENTITA' CINEMATOGRAFICA
di Ignazio Gori
SCHEDA BIOGRAFICA
NULLA RES (lett. dal latino: “niente”) è l’unica casa di produzione cinematografica, in Italia e in Europa, che dichiara la sua inesistenza. (Non) è stata creata nel 2006 per iniziativa di Edi Mils (Edilio Stefano Milsani Bedetti), laureato in Storia del Cinema dal 2002 al Dams di Torino. Nel 2003 Edi Mils ha esordito nella regia, insieme al collega film-maker Marc Saracco, nel documentario “Michel Over Nous. Il caso Houellebecq”, primo e unico documentario italiano sullo scrittore francese de “Le Particelle Elementari”, “Sottomissione” e “Serotonina”. Le musiche originali del documentario sono state composte da Morgan (Marco Castoldi). Nel 2006 il documentario è stato comprato e distribuito in DVD da Lucky Red/Medusa. Sempre nel 2006 Edi Mils ha iniziato a girare da solo i primi corti autoprodotti: “Visione Invernale”, proposto ai festival di Milano, Terni, Piemonte Movie; “Décalage”, interpretato dalla modella Nisha e selezionato in alcuni festival statunitensi e canadesi; “Museum o La statua di marmo”, omaggio a Walerian Borowczyk e interpretato della playmate Petra Vachouskova, premiato allo ShockFest di Hollywood e all’Underground International Film Fest di Los Angeles; “Passion Week”, premiato in Cile e selezionato all’Hacker Porn Fest di Roma. Trasferitosi a Roma nel 2012 per collaborare con l’Isola del Cinema, kermesse estiva diretta da Giorgio Ginori, Edi Mils lavora attualmente per la casa di produzione Treetone e sta preparando nuovi progetti per il cinema.
Intervista semi-clandestina a Edi Mils
Che cos'è Nulla Res? Spiegalo ai lettori di Interviste Dimenticate …
Nulla Res in realtà, come dice il nome stesso, è qualcosa che non esiste. Semplicemente, non c’è. E non esiste, al momento, dal punto di vista legale. Più o meno intorno al 2006 ho cominciato a girare da solo i primi cortometraggi autoprodotti. Dal momento che non avevo mezzi né conoscenze, dovevo trovare un nome che traducesse semplicemente quale fosse la mia realtà. “Nulla Res” in latino antico significa “Niente”. Mi è venuto in mente questo nome dopo averne scartati molti. Ho fatto studi classici, per cui mi è sembrato un modo ironico per denunciare che si trattava (e si tratta) di una produzione “povera”, che non può aiutare nessuno, e forse nemmeno se stessa, anche e soprattutto in opposizione a molte “produzioni fantasma”, italiane ed europee, con nomi altisonanti ma in realtà senza fondi. Inoltre questo nome vorrebbe essere anche un omaggio indiretto alla “Nothing”, una casa discografica americana anni ’90, che ora non credo esista più, creata dal cantante e polistrumentista Trent Reznor, leader del gruppo Nine Inch Nails. La Nothing ha lanciato molti artisti, tra i quali Marilyn Manson. Forse c’è una certa affinità tra quello che cerco di fare io e questo tipo di musica, anche se io opero nel campo dell’audiovisivo.
Come hai iniziato a girare e qual è la tua "idea" di cinema?
Nel 2002/2003, da studente universitario, avevo diretto un documentario sullo scrittore francese Michel Houellebecq insieme a un mio compagno di corsi, Marco Saracco. Ma tutto questo è venuto molto prima di Nulla Res. Avevo però già all’epoca dei progetti di cortometraggi che avrei voluto girare. Così il primo che ho fatto, in modo del tutto autonomo, è stato “Visione Invernale” (Winter Vision), che ha iniziato a “vivere” nel 2006, nel senso che prima di spedirlo ai festival l’ho mostrato a qualche parente e amico. Era piaciuto. In realtà non era nato come vero e proprio corto, era più una sorta di “tableau vivant” che univa semplicemente immagini e musica. Non ho una idea particolare di cinema. Penso semplicemente che il cinema debba cercare di arrivare al subconscio delle persone. Il cinema, come la musica, la pittura o la letteratura, dovrebbe avere la capacità di parlare all’inconscio, di smuovere sensazioni profonde. Non amo il cinema che cerca di propagandare – più o meno tacitamente – idee politiche, anche se qualcuno sostiene che tutto è politica, persino il “privato”.
Cosa ti affascina, quale prospettiva o introspettive ti attirano di più come autore?
Sono affascinato dall’indagare sui limiti della morale. C’è una morale comune, tacitamente condivisa, e tutti più o meno la osserviamo e al contempo la violiamo. Nei film la morale può essere messa in discussione, ma senza che questo causi delle tragedie sociali. Al massimo interviene la censura. Andare contro la morale nella vita reale può invece avere conseguenze nefaste. Ma al cinema si è liberi di sognare, e trovarsi a provare simpatie, senza vergognarsene, per personaggi che magari compiono azioni riprovevoli. Non ho particolari prospettive o introspettive come autore. Se mi arrivano delle idee, cerco di inseguirle e – se sono abbastanza fortunato – di realizzarle. Non so da dove mi nascano certe idee, non c’è niente di programmatico in questo.
Hai dei punti di riferimento e sogni cinematografici che convergono con essi?
Ci sono alcuni autori e film che mi piacciono, diversi brani musicali e romanzi. Potrei fare un elenco moderatamente lungo. Sicuramente posso dire che un film come “A Clockwork Orange”, quando lo vidi per la prima volta, a quattordici anni, mi ha prepotentemente segnato. Non pensavo che potessero esserci registi che concepissero film come quello. Dopo ne sono venuti molti altri, di autori e di film per me importanti. Naturalmente ho diversi sogni cinematografici, ma per adesso sono appunto solamente dei sogni.
Parlaci dei tuoi lavori, delle difficoltà o attriti che hai incontrato...
Difficoltà ne ho sempre avute, in tutti i sensi. Se non si hanno soldi, di conseguenza si è anche soli; fa parte di questa “moderna solitudine” di cui soffrono gli artisti. Quindi bisogna riuscire a fare tutto da sé, e per di più tendere il più possibile al risparmio. Dopo “Visione Invernale”, ho realizzato un cortometraggio sperimentale, “Décalage”, sul tema dell’amore non corrisposto. Era fatto sullo stile dei videoclip inglesi della Warp, e ha avuto un po’ di successo nei festival americani, ma soltanto là. In questo corto ho lavorato con una modella di Torino che si chiama Nisha. Ripensandoci, è stato un film un po’ profetico, per me. In seguito ho realizzato un altro corto autoprodotto, “Museum”, con una playmate della Repubblica Ceca. È la vicenda di una modella che si invaghisce di una statua. In questa occasione ho avuto a disposizione una piccola troupe di circa dieci persone, più che altro amici e conoscenti che frequentavo all’epoca. A dire il vero per me è stata una esperienza non proprio felice, ma per motivi contingenti, per complicazioni avvenute fuori dal set, che però sono andate a incidere anche sulla mia psiche. A tutt’oggi quest’ultimo è il mio lavoro più conosciuto in rete, ma anche il mio più controverso.
Quale è la tua idea di "Eros?"
Non ho davvero una idea precisa di “eros”, sebbene alcuni dei miei lavori possano essere catalogati come erotici. Semmai ho una idea sulla “mancanza di eros”. Del resto ho esordito, per così dire, facendo un documentario su Houellebecq: ecco, per capire cosa ne penso a riguardo, basta leggere alcune pagine di suoi romanzi come Piattaforma, Estensione del dominio della lotta, Particelle elementari … Penso che oggi l’eros non sia più una cosa che accomuna tutti, ma solo alcuni privilegiati. Per questo io NON mi considero uno che vuole fare cinema erotico. Se mi vengono delle idee cerco di realizzarle, ma senza catalogarle all’interno di un genere; e poi il “cinema di genere” quasi non esiste più. Se “Museum” può definirsi “erotico” è per un puro caso, non per mia decisione intenzionale.
Quanto c'è di autobiografico nei tuoi lavori, e perché?
Beh qualcosa di autobiografico penso ci sia … Dal momento che le mie idee sono originali, nel senso che non le ho tratte da romanzi o racconti preesistenti, è inevitabile che vi finisca dentro qualcosa di me stesso. Non ho mai narrato, né intendo farlo, situazioni della mia vita o autobiografiche in senso stretto, ma penso che dai miei lavori e dalle mie scelte emerga la mia personale visione delle cose, delle mie angosce, forse, e del tentativo di esorcizzarle. Cerco, nel mio piccolo, di arrivare all’inconscio di chi potrebbe eventualmente identificarsi.
Ecco Alcune opere raccontate dallo stesso autore:
Museum o la statua di marmo
È un progetto che ho inseguito per dieci anni. L’avevo scritto in forma di raccontino nel
1996, sui banchi del liceo, ma non ricordo cosa mi abbia fatto scattare l’idea. Non ricordo
nemmeno di aver mai visto dei film con scene di questo genere, eccettuato il celeberrimo “L’age d’or” di Dalì e Bunuel. Nel 2000, in seguito ad una visita al Castello di Rivoli con un amico, ho cominciato a carezzare l’idea di farlo diventare un cortometraggio. Ci ho provato per la prima volta a realizzarlo nel 2001, ma senza esiti. Nel 2005 ho trovato la statua presso uno scultore dell’Accademia di Belle Arti di Torino, e nel 2007 il castello, ovvero l’ambientazione ideale. Ma mancava la modella. L’avrei conosciuta solo alla fine del 2008, dopo averla vista in uno squallido provino di spogliarello su Canale Italia. Non sapevo che la ragazza avesse posato per Playboy. Nel 2009 sono riuscito finalmente a girare il film con questa attrice, Petula Vach, grazie anche a un gruppo di amici conosciuti durante la frequentazione di un master di produzione cinetelevisiva organizzato dal Dams e dalla Film Commission di Torino. Abbiamo preparato il set in quattro giorni, come detto in un castello all’epoca abbandonato, senza acqua né luce, vicino a Ivrea. Le riprese sono durate appena due giorni. È stato un difficile tour-de-force emotivo, specie per alcune problematiche sorte al di fuori del set e il cui strascico mi ha tormentato per molti anni.
L’idea era di fare un omaggio a un regista un po’ dimenticato, il grande Walerian
Borowczyk, e di parlare della solitudine contemporanea, della mancanza d’amore vero,
dell’ossessione per l’aspetto fisico, che oggi coi social ritengo abbia raggiunto livelli
disumani. All’epoca il corto è stato rifiutato – non so perché – da quasi tutti i festival ai
quali l’avevo proposto (circa 80), eccetto negli Stati Uniti, dove è stato addirittura premiato un paio di volte con menzioni d’onore in festival alternativi, persino a Hollywood!. È stato proiettato anche in una rassegna londinese, e in diversi locali di Torino e Roma, tra i quali il Film Studio e la rassegna “Isola del Cinema”. Credo che una buona analisi del cortometraggio l’abbia data il fotografo di scena, autore anche della locandina: “Dai film che fa” mi ha detto, “si vede che sei una persona che esce poco di casa. Uno con pochi amici”.
Michel over nous – Il caso Houllebecq
Sentii parlare la prima volta di Michel Houellebecq su Panorama, all’epoca dell’uscita di
“Eyes Wide Shut” di Stanley Kubrick. Non mi aveva interessato particolarmente, ma un
anno dopo, a casa di un amico, mi capitò di leggere alcuni stralci di sue interviste su un' altra rivista. Ne rimasi impressionato, e così andai a leggermi “Le Particelle Elementari”.
Ne fui talmente scosso che andai a cercarmi anche gli altri libri disponibili. Poi ne parlai a Marco, mio collega di studi universitari, ed anche lui ne rimase colpito. Era la primavera del 2001. Non ne riparlammo più sino a febbraio 2002, quando lui aveva appena iniziato a leggere “Les particules elementaires”. Aveva mire da scrittore, all’epoca, e disse che non aveva mai letto nulla di così duro e terribile come quel romanzo. Così mi propose di fare il documentario e ci mettemmo in moto. Andammo a intervistare persone vicine a Houellebecq: a Milano, Parigi, Taormina … Tra questi c’erano Elisabetta Sgarbi, Enrico Ghezzi, Philippe Harel … I nostri modelli di documentari biopic furono “Stanley and Us”, “Rosabella – La storia italiana di Orson Welles”, e “A Life in Pictures”. Quando tornammo a Torino, avemmo parecchi problemi con la post-produzione audio, che ci rallentò il lavoro per mesi. Non avevamo grande esperienza tecnica. Ma il peggio venne dopo: dal 2003 al 2006 nessun festival o tv volle acquistare il nostro lavoro; eppure avevamo la colonna sonora composta da un artista conosciuto come Morgan. Poi nel 2006, una piccola svolta: in Italia esce il film tratto dalle “Particelle Elementari”. Film mediocre, rispetto al libro, ma la produzione (tedesca) non aveva mandato alla Lucky Red/Medusa nessun contenuto extra da inserire nel DVD. Così propongo il nostro documentario, e finalmente esce sul mercato.
Nel 2019 la Treetone, società di produzione per cui lavoro dal 2018, ha visto il biopic (che
consta di interviste a scrittori, letterati e intellettuali, nonché spezzoni di film e mostre
sull’opera di Houellebecq) e ha deciso di restaurarlo, per proporlo nuovamente alle tv. È
così che “Michel Over Nous” sta iniziando ad avere una seconda vita.
Décalage
É un piccolo corto sperimentale che ho girato tra Torino e la Francia dal 2003
al 2008. Parla di amore non ricambiato. Stilisticamente è ispirato ai videoclip musicali della Warp, la casa discografica inglese che ha lanciato artisti come Aphex Twin, Autechre, Sweet Exorcist, Boards Of Canada. “Passion Week” l’ho invece girato con un cellulare nel 2016 e si rifà allo stile dei cortometraggi diretti in super8 da Richard Kern, negli anni ’80 a New York. È un’illustrazione dark della parabola evangelica sulla “porta stretta”, narrata nel Vangelo di Matteo. Non vuole essere blasfemo; è solo una illustrazione psichica delle difficoltà umane.